Queste le parole che si leggevano sull’insegna di uno dei primi ristoranti napoletani, Mattozzi, oggi uno dei simboli più apprezzati della cucina partenopea. il Ristorante Mattozzi fu una vera rivoluzione negli anni di fine Ottocento, quando pochi erano i locali pubblici aperti alle classi più bisognose e ai lavoratori. In quegli anni, le stradine del centro di Napoli erano caratterizzate dalla cucina di strada, dai carretti e dai “mangia maccheroni”, dove con due soldi si potevano acquistare gli spaghetti conditi con pecorino e pepe, portati caldi alla bocca con le mani perché non era ancora in uso la forchetta. In quegli anni, Luigi Mattozzi – ancora minorenne – spinto dall’amore per il cibo, convinse il padre Emiddio ad avviare un’attività di ristorazione legata principalmente alla pizza e, soprattutto, aperta a tutti.
Era il 1852 quando Emiddio Mattozzi ottenne la prima concessione per focacce, così da dare la possibilità al figlio Luigi di sviluppare il suo sogno: avviare una pizzeria. Questo era solo l’inizio; infatti il sogno, diventato realtà, si rivela vincente, tanto da consentire al capostipite di mantenere una famiglia numerosa, composta da ben diciassette figli avuti da due matrimoni, e dare vita a numerose attività, così da diventare una delle famiglie più antiche e numerose di pizzaioli di Napoli.
La famiglia Mattozzi ha superato nel tempo numerosi ostacoli, soprattutto a causa delle guerre e di varie epidemie che si sono susseguite. “Condurre un’attività, sentendo i racconti di mio padre, è stato molto molto arduo”, dice Alfonso Mattozzi, attuale erede della dinastia di ristoratori, “soprattutto nell’ultimo periodo quando non c’era disponibilità di prodotti e la ristorazione senza pasta, senza olio, senza carne era molto difficile». Nonostante ciò, «in quegli anni, il locale non è mai stato chiuso, anche se era situato in una zona di confine. Durante i bombardamenti, le finestre avevano i panni oscuranti e, non avendo energia elettrica, c’erano i lumi a petrolio. Per poter ricordare a tutti che eravamo aperti, uno strillone munito di megafono richiamava l’attenzione dei passanti”.
In quel periodo, alla Pizzeria Internazionale Mattozzi si facevano solo pizze; negli anni sessanta Eugenio Mattozzi – nipote di Luigi – decise di salvare il locale da una delicata situazione finanziaria, trasformandolo nel Ristorante Pizzeria Mattozzi l’Europeo. Nella fase di rilancio, Eugenio cercò di sfruttare l’entusiasmo degli anni della ripresa economica postbellica, periodo in cui forte era la volontà di cambiamento e di ricostruzione. Così decise di modificare il volto del locale facendolo diventare ristorante di riferimento del centro di Napoli. “Noi siamo stati un punto di riferimento per un’intera generazione fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta”, dice Alfonso Mattozzi, “e ciò è dimostrato dalla frequentazione, in quegli anni, di illustri professori universitari, di uomini provenienti dall’alta borghesia come l’armatore Grimaldi a personalità di spicco come Indro Montanelli e Riccardi Muti, fino ai Reali del Belgio”.
L’amore per il cibo, per la qualità dei prodotti, per i clienti ha dato la forza alla famiglia Mattozzi di non cedere alle difficoltà e di conquistare ogni giorno la fiducia dei suoi clienti. La fiducia, secondo Alfonso “è un bene astratto, è un pensiero, un sentimento, è come l’amore, se l’hai ricevuta spetta a te saperla gestire e conservarla, tradire la fiducia vuol dire perdere l’amore”. La soddisfazione del cliente rappresenta un’indiscussa missione per l’imprenditore. È di primaria importanza rispettarne la sensibilità, l’educazione e soprattutto l’intelligenza. “Capolavoro è l’insegnamento che noi riceviamo dal nostro pubblico», sostiene Alfonso, «mai tradire la fiducia, perché vuol dire perdita di amore, di affetto”. Questi sentimenti sono stati tramandati di generazione in generazione. E, in particolare, lo stesso amore che ognuno ha avuto in seno alla famiglia è stato trasportato anche nel lavoro. Lavorare nel ristorante significa, ancora oggi, non uscire mai dalla porta di casa.
Proprio nel rispetto e nell’amore per quest’attività, la famiglia Mattozzi non ha mai rinnegato la tradizione e ha sempre valorizzato la tipicità dei suoi piatti che ancora oggi, grazie soprattutto ad Alfonso, hanno ancora intatto tutto il sapore, l’odore e il colore di Napoli. Sono lo specchio fedele della migliore tradizione culinaria partenopea, cucina sana e casereccia, gusto e colori, difficili da imitare. Il rispetto per la tipicità, per la tradizione e per il territorio è stato il motore fondamentale della reputazione conquistata dall’imprenditore.
La continua attenzione al cliente e la considerazione per la sua sensibilità e intelligenza è stata accompagnata dalla continua volontà di miglioramento e di cambiamento nel rispetto della storia, così com’è accaduto con l’ingresso prima di Eugenio, poi di Alfonso, tutti portatori di un rinnovamento sempre fedele alla tradizione. Un’innovazione che rispetta il territorio e le sue eccellenze gastronomiche, amalgamando il vecchio con il nuovo. “Nel momento in cui le cucine francesi e internazionali si cimentavano in esperimenti tra antico e moderno, io sono stato tentato dall’adottare questo stesso principio” conferma Alfonso Mattozzi, “ma ho avuto l’accortezza di tenere conto del mio territorio e delle mie tradizioni. Crescere non significa adottare mode e tendenze che vengono dall’estero, soprattutto quando si vive in una regione che offre una tipicità di prodotti in variazioni uniche al mondo”. È questa, in estrema sintesi, la chiave del successo che ha consentito al venditore di colazione alla forchetta di consolidare e difendere nel tempo la posizione di tutto rispetto conquistata nell’affollato universo della cucina partenopea, di cui oggi Mattozzi rappresenta uno dei simboli incontrastati.
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